Un diritto a rischio!

Incontro di autoformazione col Comitato Acqua Bene di Torino.

Come si è arrivatə alla precedente campagna referendaria e cosa ha significato?
Come ne è stato disatteso l’esito?
Cosa riguarda il DDL Concorrenza e cosa potrebbe cambiare?

Il movimento per l’acqua bene comune nacque vent'anni fa, dopo il World Social Forum di Porto Alegre, e iniziò ad attivarsi contro le proposte di privatizzazione dell’acqua portate avanti dai governi Berlusconi.

Partì con una proposta di legge di iniziativa popolare supportata da più di 500mila firme, che però rimase affossata da dinamiche parlamentari. 

Di fronte all’insuccesso, ma anche al crescente sostegno popolare si decise di presentare due quesiti referendari abrogativi sostenuti da un milione e mezzo di firme.

Con l’abrogazione di due leggi che spingevano i comuni a privatizzare l’acqua l’obiettivo era di affermare che l’acqua è un bene comune pubblico e non privatizzabile, che doveva essere sottoposto a tariffe eque e partecipazione popolare.

L’esito positivo del referendum è stato da subito attaccato dai governi in carica. Già nell’anno successivo, il governo Berlusconi, come richiesto dalla BCE, emanò un provvedimento che di fatto invalidava l’esito referendario.

Il provvedimento fu giudicato incostituzionale e affossato dalla corte costituzionale.

Tuttavia, solo una città da allora ha implementato i principi affermati dal voto referendario: a Napoli è nata l’azienda ABC (Acqua Bene Comune) di diritto pubblico e senza scopo di lucro, che gestisce la fornitura d’acqua nonostante le difficoltà di dover risanare i conti della precedente gestione e di doversi espandere in un territorio circostante controllato dai privati.

Ultimamente anche le città di Agrigento e di Siracusa hanno deciso di ripubblicizzare il servizio idrico.

Su questo si insiste: l’unica forma societaria che possa garantire l’assenza dello scopo di lucro sull’acqua è l’azienda di diritto pubblico. Per quanto partecipate dai Comuni le altre tipologie di aziende, come per esempio SMAT, prevedono degli utili e per questo il profitto su un bene comune.

Per quanto riguarda Torino, il servizio idrico è gestito appunto da SMAT, azienda di diritto privato di cui la maggioranza dei soci sono i Comuni in cui opera.

Gli utili, che si aggirano tra i 20 e i 40 mln all’anno, sono divisi tra i comuni che di fatto fanno cassa su un servizio pubblico. Per questo il Comitato Acqua Bene Comune ha presentato a Torino negli anni successivi al referendum una delibera di iniziativa popolare per trasformare SMAT in un’azienda di diritto pubblico.

Nonostante sia stata sostenuta da migliaia di firme, la sua discussione in consiglio comunale è stata rimandata a lungo fino allo scontro con la maggioranza del consiglio targata PD che l’ha affossata. Simili richieste negli anni successivi non hanno trovato l’approvazione nemmeno da parte della maggioranza pentastellata. 

L’amministrazione ha deciso, come supposto compromesso con le richieste del Comitato, di vincolare la redistribuzione degli utili di SMAT: l’80% deve essere lasciato all’azienda e il resto diviso tra i Comuni soci.

Inoltre, è stato deciso che per includere nuovi soci è necessaria l’approvazione del 90% dei soci e non solo della maggioranza qualificata, il 75%, come previsto per le aziende simili. In teoria, questo dovrebbe garantire la limitazione degli ingressi dei privati in SMAT: è stato un avvicinamento all’azienda di diritto pubblico ma senza arrivarci pienamente.

Gli effetti di una gestione che non esclude il profitto si vedono anche nello stress ecologico che questa causa.

La rete idrica di SMAT è un colabrodo: si perdono ogni anno circa 92 milioni di m3 di acqua che corrispondono alla quasi totalità del fabbisogno torinese. Il prelievo dalle riserve dinconseguenza è più del doppio dell’acqua necessaria e questo comporta uno stress sulle fonti importanti. Negli ultimi anni più di 60 fonti sono state prosciugate, molti situate nelle valli circostanti Torino.

Uno spreco simile è quello del cantiere del TAV Torino Lione in cui si perde annualmente una quantità d’acqua sufficiente a soddisfare il fabbisogno di una comunità di 40mila persone.

Inoltre, SMAT è ben lontana dal ripensamento della gestione degli scarichi cittadini con l’obiettivo di minimizzare gli sprechi e aumentare il riutilizzo di alcuni tipi di acque reflue, obiettivo la cui necessità si fa pressante in momenti di siccità come quello attuale.

La SMAT ha anche portato avanti alcune operazioni evidentemente lontane dall’interesse pubblico.

Per esempio, ultimamente ha chiesto e ottenuto un prestito dalla borsa di Berlino di 150 milioni di euro, nonostante utili in positivo di alcune decine di milioni, con l’unico scopo di aumentare il proprio capitale a bilancio per svincolarsi da limitazioni che hanno aziende di tale grandezza e che operano nei servizi pubblici.

Tra queste limitazioni, il divieto di nominare per il terzo mandato lo stesso presidente del CDA, cosa che si è successivamente verificata. Ancora, il Comitato ha scoperto e denunciato la manipolazione illecita da parte di SMAT di un appalto per l’assegnare dei lavori su un acquedotto cittadino. L’azienda per evitare azioni legali ha ritirato l’assegnazione.

Per quanto riguarda il diritto all’accesso all’acqua a Torino SMAT garantisce che, nei casi di morosità incolpevole, le singole persone possano essere protette dal Comune che garantisce loro l’accesso a 50 litri di acqua al giorno. Inoltre, sotto una certa fascia ISEE le tariffe sono calmierate.

Tuttavia al di fuori di questi casi è possibile chiudere l’accesso all’acqua.

Si arriva così al DDL Concorrenza firmato dal governo Draghi, che, in teoria, dovrebbe garantire la conformità dell’Italia alle direttive europee sulla concorrenza. Di fatto le norme europee prevedono che ci si conformi per i servizi pubblici a una delle tre tipologie di gestione: pubblica (in house), pubblico-privata, totalmente privata.

Il governo vuole di fatto limitare la scelta dei comuni solo alle ultime due opzioni, interpretando in modo ingannevole le norme europee. Motivo per il quale il Comitato sta anche pensando di muoversi per vie legali.

In particolare, secondo l’art 6, i comuni dovranno giustificare all’agenzia ARERA preventivamente i motivi di natura economica per cui è più efficiente tenere la gestione dell’acqua totalmente pubblica. Come si può valutare solo economicamente tale scelta?

Inoltre bisogna tenere anche conto del fatto che debba pronunciarsi in merito ARERA.

ARERA - Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente - è un'autorità amministrativa indipendente che ha il compito di regolare i mercati dell’energia (gas, luce, acqua, riscaldamento). Nel suo CDA siedono alcuni membri rappresentativi dello stato italiano, ma la sua maggioranza è nelle mani delle aziende private che gestiscono l’accesso a tali risorse.

Il “paradosso” è che le stesse aziende private che beneficerebbero dall’acquisire la gestione dell’acqua dovrebbero concedere ai comuni di gestirla in proprio.

È chiaro che i comuni saranno in enorme difficoltà a scegliere l’opzione della gestione in house, di fatto vanificando l’esito del referendum del 2011.

A riprova del fatto che ARERA operi lontano dagli interessi delle persone, sono le tariffe approvate per l’acqua, che le aziende private o partecipate calcolano con complessi algoritmi finanziari di difficile la comprensione.

Inoltre, vi sono voci nelle bollette che rivelano lo scopo di lucro.

La vecchia remunerazione del capitale ora è chiamata oneri finanziari ed è una voce legata all’andamento in borsa dei titoli di stato.

In secondo luogo la voce riguardante la morosità è una spesa aggiuntiva che dovrebbe proteggere preventivamente l’azienda dalla mancanza di introiti dovuta alla morosità: in bolletta varia a seconda delle regioni dal 2% al nord al 7% nel sud Italia.

Infine i conguagli tariffari sono la voce che permette alle aziende di aumentare le tariffe se gli introiti per un certo periodo sono al di sotto delle previsioni. In tal caso, l’azienda può coprire i mancati introiti introducendo un conguaglio artificioso, come se lə cittadinə avessero pagato meno del dovuto e dovessero quindi restituire quanto manca.

Gli introiti possono però essere inferiori anche in caso di un effettivo risparmi di consumi d’acqua, quindi non si premia chi risparmia e non si multa chi spreca!

L’assurdità dei conguagli tariffari è ciò che ha permesso a SMAT, tra il 2011 al 2014, di richiedere alle persone utenti in Torino quanto non era riuscita a incassare nel triennio precedente. Solo che la differenza non è data da una mancanza dell’utente ma dall’”errore” nello stabilire una tariffa “troppo bassa” da parte dell’azienda.

Il Comitato Acqua Bene Comune Torino ha portato in causa la decisione dell’azienda ma si è ancora in attesa che la corte di cassazione prenda in esame la causa, dopo che il ricorso è stato vinto da SMAT, poiché il giudice ha deciso che le esigenze di bilancio dell’azienda fossero prioritarie.

In questo quadro si aggiunge che il governo Draghi ha diretto i fondi del PNRR riguardanti il servizio idrico verso le casse delle grandi multiservizi che operano nel settore: IREN, ACEA, A2A, HERA.

Queste aziende sono responsabili di quello che viene definito water grabbing, ovvero l’accaparrarsi quote di aziende che gestiscono il servizio idrico o direttamente il servizio idrico in più territori possibili. Per esempio, la provincia di Torino è l’unica in Piemonte che non vede la presenza di IREN nella gestione dell’acqua.

Fra i vincoli per l’erogazione dei fondi del PNRR c’è anche l’approvazione del DDL Concorrenza e dei suoi decreti attuativi che deve avvenire entro la fine del 2022. Da cui l’azione del Comitato nei prossimi mesi sarà concentrata su alcuni punti.

Portare avanti una petizione per chiedere di mantenere l’acqua pubblica.

Una campagna che chiede di approvare una delibera nei consigli comunali che richieda lo stralcio dell’art 6 del DDL Concorrenza.

Mobilitazioni territoriali per il 22 marzo, giornata mondiale per l’acqua pubblica.

Infine una campagna contro il forum mondiale delle multinazionali dell’acqua che potrebbe essere ospitato in Italia, ad Assisi, e contro la quotazione in borsa dell’acqua, come avvenuto recentemente alla borsa di Chicago.

Ne parlammo qui https://manituana.it/quale-futuro-nei-futures/