Povertà romantica e colpevole. 

La guerra ai poveri e l'ipocrisia del comune di Torino.

Stamattina le vie del centro sono state teatro di una vera e propria retata da parte dei civich e della polizia di stato.

Obiettivo? I "clochard", parola romantica per mascherare la realtà.

In sette, dopo essere stati invitati a buttare "quello che non ti serve", sono stati allontanati dagli angoli dove avevano trovato riparo tra via Cernaia e portici limitrofi.

Uno, "irregolare" perché senza documenti, è stato tradotto in questura per i controlli di rito e non se ne ha più notizia. Quanto romanticismo nella vita in strada e sotto i portici torinesi.

A scatenare l'offensiva sarebbero state le segnalazioni di quei residenti del centro cittadino che vorrebbero una vetrina per gli affari, senza poveri e che rifletta le automobili in coda. Ma, come sempre, la benzina sul fuoco la buttano la sindaca Appendino e il comandante Bezzon dei vigili urbani.

Qualche giorno fa quest'ultimo aveva detto, puntualmente spalleggiato dalla prima cittadina e dalla vicesindaco Schellino, che il centro città non doveva più essere "un bancomat" per i senzatetto.

La frase aveva suscitato non poca ipocrita indignazione da parte del "centrosinistra" locale, ben noto per le sue pratiche di tutela del "decoro urbano" in anni passati: ve lo ricordate Fassino e le sue azioni per "dare l'impressione (perché solo questo possono certe operazioni tutto muscoli e animo di destra) di vivere in una città sicura?

Ancora negli scorsi giorni l'offensiva del comune ha conosciuto un altro squallido capitolo: via gli animali alle persone senza un tetto.

Cani, gatti e uccellini che sono di compagnia e di conforto verrebbero usati per muovere a compassione i gonzi, la brava gente che deve spendere nei luoghi opportuni, secondo la sindaca, per la quale si tratterebbe di un vero e proprio "racket".

Voilà, una settimana di fuoco di fila e si può passare a raccogliere i risultati: qualche bravo cittadino chiama i vigili ed ecco che subito l'offensiva, da mediatica, torna su un piano di cruda realtà: identificazioni, spostamenti coatti, "sanificazione" (cestinare i giacigli delle persone senza una casa) e il centro è di nuovo "pulito", pronto per la riapertura dei ristoranti e dei negozi.

In questa città, ancora e come sempre, la politica continua a fare fortuna mostrando i muscoli, tirando in ballo ora i buoni sentimenti nei confronti degli animali, ora l'igiene, o che altro, pur di giustificare misure di polizia anziché di aiuto e di inclusione sociale, funzioni ormai demandate quasi del tutto a volontariato e associazionismo.

Ormai diversi giorni sono passati da quando la sindaca Appendino, in piena campagna antipoveri, magnificava insieme ai giornali che ne facevano un santo, Stefano Rizzotti, detto Ste delle barzellette.

È incredibile come il discorso pubblico abbia saputo tenere insieme, negli stessi giorni, la beatificazione del "barzellettiere", l'uomo fattosi imprenditore di se stesso (l'abbiamo letto davvero) e un cannoneggiamento ad alzo zero su chi come Ste rifiutava e continua a rifiutare, chissà perché, l'aiuto di servizi sociali paternalisti, ricattatori e lavoristi.

Mentre tutta la città "che conta", quella dello showbiz e dell'intrattenimento culturale, piangeva un suo personaggio "tipico", annoverabile tra le glorie di Torino al pari di Annina, l'anziana "ballerina di porta palazzo", i tanti come Ste finivano al centro delle segnalazioni ai civich di quei benpensanti che Appendino e il suo comandante rappresentano degnamente, in continuità con le amministrazioni precedenti.

Più retate, più telecamere, più storielle edificanti, più santificazioni post mortem: il bastone della legge e la carota dello storytelling per rasserenare le coscienze della brava gente.

L'unica cosa che avrebbe senso fare, prima di piangere e osannare un'altra persona in difficoltà, sarebbe investire su una vera inclusione sociale.

Forse Torino sarebbe meno "romantica", meno da cartolina, meno bohémien, ma sarebbe per lo meno una città un po' più giusta.