L8 MARZO: con quello che abbiamo da dire, anche se non lo diciamo, abbiamo comunque ragione

Sorellu, compagnu, amicu, ciao a tuttu. Come Manituana ci siamo datu la sfida di riflettere su patriarcato e transfemminismo portando in assemblea i nostri vissuti personali, le oppressioni che abbiamo in casa, che ci hanno plasmatu fin da piccolu, prima ancora che conoscessimo la parola violenza. Con gli strumenti politici di oggi, che ce ne facciamo di quelle esperienze?
Pensiamo alle nostre nonne, quelle che non esprimevano la loro opinione davanti ai nostri nonni, quelle che abbiamo conosciuto solo dopo che nostro nonno è  morto. Quelle che ci chiedevano cosa votare, per darci voce mentre eravamo minorenni, perché i cambiamenti che speravano loro li avremmo visti noi. Pensiamo alle nostre madri rinate dopo il divorzio da nostro padre e a quelle che vivono nonostante stiano ancora con nostro padre. Pensiamo alle nostre compagne di classe che non parlavano mai e allu nostru compagnu di movimento che in assemblea parlano meno dei compagni uomini cis e chi quello spazio con fatica invece se lo prende. Tutte queste soggettività oggi potrebbero o meno essere qui, ma noi siamo loro, perché mia nonna è anche vostra nonna, mia madre è anche vostra madre, perché la mia oppressione sistemica è tua e il potere di liberarci è solo nostro, perché ce lo prendiamo insieme, dovesse essere l'ultima cosa che facciamo. 

Il patriarcato agisce in tanti modi, con violenze esplicite e con violenze sottili, agisce silenziando. Mette in dubbio e sminuisce quello che abbiamo da dire, ci toglie l'immaginazione, erode la leggitimità di esprimerci, di contestare.
Il nostro spazio, intimo o pubblico o istituzionale non è mai neutro ed è intriso di dinamiche di potere che assorbiamo implicitamente, che riproduciamo tacitamente, alimentando e creando i nostri mostri interiori, quelli dell’inadeguatezza, dell’insicurezza, del giudizio costante, della performatività, facendoci abbassare i toni, facendoci dire a fine frase “scherzavo”, soprattutto quando non scherziamo. Se riusciamo a parlare è da minimizzare, semplificare, "no ma scherzavo scusate, potete anche ignorarmi esattamente come prima"... ma se invece non c'è un cazzo da ridere, allora sei pazzu, sei troppo radicale, mai una volta che siano **loro ad essere di basso livello, sempre noi ad essere troppo.
Etichette che ci fanno domandare: perchè continui? Perchè ancora non combini nulla? Perchè ti emozioni così tanto? Perchè ti esprimi? Perchè ti vergogni o perché non ti stai vergognando? Sei minuscola, insicura, senti il cuore che batte forte, senti il sudore sul petto, senti le guance che diventano rosse. Guardati, sei ridicola, sei un mostro. 

Siamo qui oggi per dire che non ci importa chi siamo nella grande parabola perversa patriarcale, tra l'essere inettu o essere ingestibili, il punto non è quello, il punto è che quello che abbiamo da dire è vero, che quello che abbiamo da dire è giusto, è importante, il punto è che con quello che abbiamo da dire, anche se non lo diciamo, abbiamo comunque ragione. 
Il punto è riconoscerci, immaginare, accoglierci e curarci per sentirci liberu di emozionarci e mai solu. Siamo tuttu i nostri mostri e siamo tutti i nostri mostri, facciamoci spazio, riaffermiamoci come corpe, riappropriamoci delle nostre strade e dei nostri luoghi per essere liberu, per essere rabbia ed essere tutte le altre nostre emozioni, per essere marea, per non dover risentire più a fine frase dellu miu amicu "opinione mia, poi non lo so io eh"; stronzate, lo sai.
Sorellu, compagnu, amicu, accanto a te hai una persona che non vede l'ora che tu abbia lo spazio che meriti. Sorellu, compagnu, amicu, e tu, che cos'hai da dire?