Intervento per Freek Pride

Ciao a tuttə, come Assemblea Politica di Manituana ci prendiamo questo momento per condividere le nostre riflessioni, parlando alle persone cis-etero che attraversano gli spazi e i movimenti, chiedendoci; quanto stiamo abbracciando nel profondo il messaggio di lotta queer? Bastano degli slogan e i dei glitter per dirsi compagni e compagne delle soggettività non cis-etero oppresse?
No, non basta e non basterà mai. La liberazione queer non è una vetta da raggiungere, un premio da guadagnare o una spilla da indossare. È qualcosa a cui tendere per esserlo più di ieri, è fatta di studi e pratiche di decostruzione, è fatta di uno spazio che crede nella libera espressione dei corpi, soprattutto quelli trans e disabilizzati.
L’approccio che vogliamo portare è quello di non sentirsi mai arrivati e arrivate nel proprio percorso individuale e collettivo. Di sforzarci di porre l’attenzione sul machismo, sui ruoli di genere, sull’abilismo che ci coinvolgono tuttə. Non vogliamo farci i complimenti, ma vogliamo disturbarci e disturbare, come adesso.
Essere insieme è l’inizio del punto di partenza, ma si è solo tappezzeria se a questo non segue sincera alleanza. Riusciamo a tradurre la nostra vicinanza in una prassi politica di lotta condivisa? Tutte le teorie puoi anche conoscerle ed esserci venuto a contatto, ma poi come ti comporti tu da solo e non tu nella collettività? Quando festeggiamo siamo tuttə queer, ma poi faccia a faccia ci rendiamo davvero conto di tutte le oppressioni che riproduciamo?
Partecipiamo alle feste per la tecno e perché son fighe, ma poi la lotta si fa tutti i giorni e noi come ci comportiamo e con chi siamo tutti i giorni? A dire e a fare cosa? Le persone di merda poi sono ancora nostre amiche? La versione peggiore di noi è quella in cui abbiamo gli strumenti per fare autocritica, ma non la vogliamo fare, quando ci sentiamo comodi, ma poi la nostra azione è debole.
Quanto effettivamente ci sforziamo di permeare allora la società là fuori con le questioni queer? Quanto sappiamo intervenire, senza fare i supereroi sentendoci dei buoni compagni, ma creando invece spazi autentici di messa in discussione del privilegio?
Il nostro compito come centro sociale è quello di non fermarci mai alla superficie, appropriandoci di messaggi senza comprenderli a fondo, dobbiamo invece costruire spazi di trasformazione, dove le voci dei movimenti non solo siano ascoltate, ma trovino casa.
Dobbiamo porre il problema, fare domande e dare risposte scomode, autocriticarci e criticare, non lasciar correre, essere intransigenti, antipatici, mettere in imbarazzo, non avere paura di confrontarsi. Questo dobbiamo fare e dobbiamo fare tuttə di più e meglio, per non permettere che la comodità e il privilegio che abbiamo si traduca in non agire o in autoassuluzione di un circolo d’oppressione di cui siamo invece conniventi glitterati.
Il primo pride è stato una rivolta, non una festa, che sia rivolta tutti i giorni, in tutti gli spazi, pubblici e privati. Buona Freek a tuttə.
