Di estrattivismo e popoli indigeni.

Sono ormai trascorsi oltre dieci giorni dalla sequenza di eventi che il 15 Gennaio ha causato lo sversamento di oltre 950mila litri di petrolio sulle coste del Perù.

Le menzogne di Repsol sulle cause del disastro vengono smontate una ad una dagli esiti delle prime indagini e continuano le operazioni di bonifica.

Ci vorranno almeno 3 mesi per terminare, ma l’ecosistema della zona impiegherà tra i dieci e i vent’anni per rigenerarsi completamente.

I motivi dell’attenzione che ha ricevuto questa vicenda a livello internazionale sono molteplici, e vanno dall’enormità del danno ambientale causato ai maldestri quanto vergognosi tentativi del colosso spagnolo di dichiararsi innocente e pulirsi la coscienza.

L’ultima proposta di Repsol è di assumere le famiglie di pescatori della zona e farle lavorare alla pulizia delle spiagge, trasformando una compensazione dovuta, in lavoro (sotto)pagato.

Forse nelle menti del direttivo di Repsol questa sembra una geniale win-win solution, una vera e propria gemma di ottimizzazione, e non l’incommentabile abominio che realmente è.

C’è però un’altra questione che le organizzazioni ed i movimenti ambientalisti del Perù stanno portando alla luce con forza: lo sversamento è avvenuto ad appena 50 km da Lima e, seppur parzialmente, ha raggiunto le spiagge di Miraflores, Barranco, San Isidro e Magdalena de Mar.

Questi quartieri rappresentano il cuore economico, finanziario, imprenditoriale e turistico del paese, sono la vetrina con cui il Perù si mostra al mondo.

Nella selva amazzonica, lontano dalle facciate di vetro e dalle villette neo-coloniali, il petrolio è una delle tragedie quotidiane che affrontano i popoli indigeni e le comunità native.

Tra il 2000 ed il 2019, nell’amazzonia peruviana si sono verificati 474 sversamenti: appena un paio di giorni dopo la vicenda di Repsol, nella regione amazzonica di Loreto sono fuoriusciti tra i 200 ed i 300 Barili di petrolio (tra i 30 e i quasi 50mila litri in totale) da un oleodotto danneggiato, contaminando almeno un chilometro quadrato di selva.

Di questi 474 sversamenti, pochi sono riportati dai mezzi di informazione a livello regionale, ancora meno ricevono attenzione a livello nazionale, ed i casi in cui le imprese vengono sanzionate o costrette a compensare i danni causati, si contano sulle dita di una mano.

Come sottolinea Eduardo Gudynas, analista del Centro Latino Americano de Ecología Social (CLAES): “si dice che uno sversamento di petrolio è un incidente quando in realtà non è così. Gli sversamenti sono conseguenze inevitabili dell’attività petrolifera. Considerarli eventi imprevedibili e inusuali, oppure definirli - per usare una terminologia cara alle compagnie di assicurazioni - ‘atti di Dio’, significa solamente tentare di schivare le responsabilità dell’accaduto e ridurre i costi di bonifica e di compensazione”. **

Questi disastri ecologici sono parte integrante del processo estrattivista, il quale va affrontato con uguale determinazione nella sua interezza.

L’estrattivismo è un’autentica piaga per moltissimi territori del Perù e per i popoli indigeni, le comunità campesine ed andine, i popoli nativi e le comunità in isolamento volontario o non contattate che li abitano.

Le istituzioni statali e regionali sono vessate da corruzione endemica e razzismo, le forze di polizia e dell’esercito vengono regolarmente assunte dalle imprese estrattiviste per servizi di sicurezza privata ed il potere giudiziario criminalizza sistematicamente lə difensorə ambientali, creando un contesto estremamente propizio per l’accumulo di risorse e profitti.

Lo scenario che ne risulta è un circolo vizioso in cui violenza ambientale, sociale, istituzionale e culturale si alimentano e nutrono l’un l’altra a vantaggio di pochi.

È fondamentale per il Perù riconoscere il carattere strutturale delle violenze che colpiscono i suoi popoli indigeni e nativi ed i loro territori ancestrali, tanto quanto lo è per il mondo intero riconoscere che esiste una stretta interdipendenza fra i rapporti di sfruttamento e violenza tra esseri umani e quelli dell’essere umano sulla Natura.

Transizione ecologica, responsabilità sociale d’impresa, economia green, off-setting e compensazione delle emissioni, crescita sostenibile, non sono altro che nuove maschere dietro cui il capitalismo si nasconde mentre continua a ingozzarsi voracemente con il nostro presente ed il nostro futuro.

I popoli indigeni e nativi rappresentano l’avanguardia globale nella (ri)costruzione di rapporti ecologici e mutualisti fra l’essere umano e la Natura, ed è tempo che tuttə prendiamo parte con uguale forza e determinazione alle lotte che loro portano avanti da decenni, dalle valli andine alle assolate coste del Pacifico, dalla selva amazzonica al mondo intero.