Basta promesse. 

Tutte le persone che vivono nella zona tra Aurora, Vanchiglia e Barriera da qualche anno, si ricordano del Maria Adelaide, l'ex ospedale in Lungo Dora Firenze chiuso dal 2016.

Un ospedale perfettamente funzionante, con un’ala nuovissima e migliaia di pazienti ogni anno, chiuso per tagli alle spese con conseguente riduzione del personale e riduzione dei servizi.
Contro la sua chiusura era nato il comitato “Salviamo il Maria Adelaide”, che dal 2013 ha prodotto una partecipata mobilitazione che ha dovuto scontrarsi tanto con le giunte regionali di centro destra quanto con quelle di centro sinistra.

Con l'odierna crisi di spazi e di personale, la decisione di chiudere il Maria Adelaide appare oggi criminale, ma altro non è che la prosecuzione di un disegno di sanità pubblica decennale, basato sui principi di taglio dei finanziamenti e potenziamento del sistema privato, e di accentramento dei servizi nei grandi poli ospedalieri (in questo caso CTO e Molinette).

Quest'emergenza ci ha dimostrato che questo progetto non funziona.

D’altra parte, se oggi è evidente che il sistema sanitario sia al collasso, prima non se la passava di certo bene. Lo sanno tutte le persone che hanno dovuto aspettare un tempo infinito per un esame, che hanno attraversato la città per una visita medica, o che sono state spinte a ricorrere alla sanità privata, spesso senza poterselo permettere.

Nonostante queste evidenze, l'ex ospedale è attualmente in vendita: tra dichiarazioni a mezza bocca e smentite, si vocifera di operazioni immobiliari e di diversi interessi, in ultimo quello dell'Università di Torino in occasione della candidatura alle prossime Universiadi 2025.

Le istituzioni si stanno dimostrando estremamente reticenti a riguardo: sanno anche loro che vendere una struttura ospedaliera in questo momento è vergognoso, eppure non vogliono mollare la presa.
Il loro timore nell'affrontare la questione è evidente, e più che giustificato: hanno timore di perdere la faccia ma non vogliono rinunciare all'ennesimo tentativo di fare cassa.

Come abitanti e persone che vivono il quartiere, pensiamo che la svendita di quella struttura sia inaccettabile. Per questo da ormai sei mesi abbiamo deciso di riprendere in mano la lotta di chi si oppose alla chiusura dell'ospedale e di chiederne oggi la riapertura.

Basterebbero pochi milioni per rimettere in funzione la struttura, ancora in buone condizioni: spiccioli di fronte ai miliardi del Recovery Plan che la Regione vedrà nei prossimi mesi.

Pensiamo che la priorità da affermare in questo momento sia il potenziamento della sanità territoriale, la creazione di presidi sanitari di prossimità che facilitino il rapporto tra medico e paziente.
Per noi pretendere la riapertura del Maria Adelaide è l'affermazione di un tipo di cura diverso da quello che viviamo adesso, fatto di prevenzione, ascolto e dialogo con il territorio, privo di speculazioni e attento alle determinanti sociali e culturali.

Riaprire l'ospedale è possibile, ci sono le condizioni e i fondi necessari.

Dobbiamo però lottare contro l'ipocrisia delle istituzioni, creare un movimento di persone che vogliano confrontarsi e battersi per difendere e riappropriarsi della salute collettiva.

Pertanto pensiamo che questo percorso possa essere anche un riferimento per tutti quei soggetti che, durante la pandemia, hanno riflettuto su un’altra idea di salute. Una salute che non neghi i percorsi scientifici, ma che li restituisca al servizio della collettività.