Ai disertori e ai partigiani tedeschi
Nei giorni dell'insurrezione che aggrediva i nazifascisti costringendoli alla fuga verso i valichi alpini, inseguiti dagli eserciti alleati e dalle formazioni partigiane, spingendo i generali della Wehrmacht ad arrendersi nelle mani di comandanti operai e contadini e mettendo al muro il dittatore, anche qui, alle cosiddette zuccheriere, combattevano Heinz e Hans, soldati che avevano disertato per unirsi alle bande partigiane.
Quanto è difficile mettere in discussione l’appartenenza a una comune identità nazionale, un’identità alla quale ti hanno educato fin da bambino? Heinz era nato nel 1910, era cresciuto non solo nel mito della Germania, ma anche nel rancore collettivo della sconfitta e poi nel desiderio di rivincita, di riarmo, di dominio sul mondo. Quanto doveva essere difficile mettere in discussione tutto questo, nel pieno secolo dei nazionalismi che aveva portato l'Europa al suicidio bevendo il veleno nazista? Chiediamolo a tutti quei soldati nati in Germania o comunque inquadrati nella Wehrmacht che disertarono le forze armate tedesche per unirsi alla Resistenza, chiediamolo a Heinz e Hans e ai tanti, oltre trecentomila in tutta Europa, almeno diecimila in Italia, Fahnenfluchtige - così in tedesco si chiamavano i disertori, quelli che “fuggivano dalla bandiera” -. Membri della polizia tedesca dislocata in Italia, Heinz e Hans avevano preso parte alla repressione del movimento partigiano, ma a differenza di loro tanti commilitoni, zelanti poliziotti e soldati (quasi mezzo milione in tutta Italia!) che parteciparono a crimini e massacri fino all’ultimo momento, Heinz e Hans decisero, abbastanza presto, che a queste condizioni non ci stavano più. Bruciare villaggi, fucilare chiunque capitasse a tiro durante i rastrellamenti, era troppo. Per questo motivo Heinz e Hans presero contatto, guadagnandosene la fiducia, con la 19esima Brigata Garibaldi al comando di “Alvaro”. Con i partigiani condivisero informazioni utili a terrorizzare e uccidere i nazifascisti, a sabotarne gli apparati, e poi, non sappiamo con esattezza quando, lasciarono la loro divisa di poliziotti e si unirono attivamente alla Brigata con la quale collaboravano. Proprio alle zuccheriere si concentrò la Brigata il 26 aprile, e dalle zuccheriere contribuì alla Liberazione. Di Heinz sappiamo, grazie al foglio notizie della Brigata, che partecipò a un assalto contro le posizioni tedesche ai giardini reali, dall’altro lato della strada; che più volte intimò ai suoi ex commilitoni di arrendersi; che prese parte alle operazioni volte a snidare i cecchini fascisti dai sottotetti nei giorni tra il 26 e il 30 aprile. E poi? Tornò a casa da moglie e figli?
La diserzione dei soldati tedeschi in Italia è da poco sotto la lente degli storici e delle storiche, che evidenziano l’importanza delle singole storie di disertori, decisamente pochi rispetto alla totalità degli uomini delle forze armate naziste che rimasero al loro posto fino alla fine. Ma non pensiamo, data l'esiguità del numero, che chi ha disertato e si è unito alla Resistenza sia eccezionale. Perché che cosa significa disertare? Come si diserta? Solo come hanno fatto Hans e Heinz? Si può disertare? E dove si va? Con i partigiani o verso casa? Dove vai quando “il tuo Paese” impicca o fucila chi scappa, quando i tuoi stessi concittadini a guerra finita fingono di non conoscerti, o ti disprezzano perché sei “fuggito dalla bandiera”, perché hai “tradito” la patria, anche se per farla finita con la guerra? Hans e Heinz non potevano tornare a casa e raccontare di aver rivolto le armi contro altri tedeschi, perché avevano paura e certo avevano ragione di averne. Per quasi un anno Heinz rimase nascosto in Italia, in attesa che si chiarisse la posizione legale dei disertori tedeschi. Quando poterono tornare in Germania lo fecero quasi in punta di piedi, e al suo ritorno Heinz, nonostante potesse dimostrare di aver partecipato alla Resistenza in Italia, non fu considerato "denazificato" fino alla fine del ‘46: il partigiano tedesco fu addirittura messo a scavare le tombe dei soldati inglesi caduti nei pressi di Reichswald. Aveva rischiato, in caso di cattura in tempo di guerra, la fucilazione; e a guerra finita si era ritrovato in un Paese di cui criticò le mancanze per quanto riguardava le procedure di denazificazione: “I più grandi guerrafondai - scrisse - sono tornati nelle migliori posizioni della società”, tra SS e alti ufficiali che erano riusciti a salvarsi dai processi e avrebbero vissuto tranquilli, morendo nei loro letti, mentre lui era stato messo a scavare tombe. La sua scelta non era - e non è - immediatamente comprensibile se non a lui, le conseguenze della sua scelta non erano così facili da capire, se non per i suoi compagni partigiani che lo accolsero. A differenza di quei soldati sovietici, jugoslavi, angloamericani, che poterono vantare una partecipazione attiva alla Resistenza in quanto prigionieri di guerra evasi, e ai quali questa partecipazione fu sempre, facilmente, riconosciuta, i disertori tedeschi si trovavano in un limbo: appartenenti per scelta alla comunità dei vincitori e, per nascita, a quella di chi la guerra l’aveva persa. Accolti dalla comunità che avevano l’ordine di terrorizzare, respinti da quella dalla quale si aspettavano di essere accolti. Per ricordare non solo Heinz e Hans, ma tutti i soldati tedeschi che "fuggirono dalla bandiera" e imbracciarono le armi contro il nazismo, dedichiamo quindi una targa nella speranza che questa aiuti tutte e tutti a cogliere le sfaccettature, la complessità e la pluralità delle resistenze.