18 aprile: lo sciopero insurrezionale

La liberazione di Torino non avvenne il 25 Aprile. Né per mano delle truppe alleate.

Torino fu liberata con una lunga settimana di combattimenti nella città e nelle zone limitrofe, a partire dallo sciopero generale insurrezionale del 18 aprile.

Quel giorno alle 10.00 suonò la sirena d'allarme, come tutte le mattine nella Torino occupata dalle forze nazifasciste.

Il 18 Aprile del 1945 però la sirena era il segnale pattuito per l'inizio dello sciopero: i tram, le fabbriche, le scuole si fermarono contro "la fame e il terrore" del regime.

Lo sciopero doveva essere una prova di forza di tutta l’opposizione al regime, e riuscì perfettamente: i nazifascisti rimasero sgomenti davanti a una città intera che manifestava il suo odio per loro e per la loro guerra.

Il lavoro delle Squadre di Azione Patriottica (SAP), che avevano promosso gli scioperi nelle fabbriche, era stato difficile e pericoloso: a differenza delle Brigate in montagna, dopo ogni azione dovevano tornare sul posto di lavoro, rischiando di essere arrestati, deportati o uccisi per la loro attività politica.

Gli sforzi fatti non erano stati vani: il 18 aprile la città era stata bloccata, le vie di comunicazione tagliate, e chi scioperava veniva protetto con le armi.

Non era stata la prima volta, e nelle precedenti la repressione era stata dura.

Le ritorsioni delle camicie nere iniziarono in quartiere la sera stessa.

Nella notte tra il 18 e il 19 Antonio Banfo venne prelevato a casa da sedicenti garibaldini, portato tra corso Novara e corso Giulio Cesare e qui ucciso a colpi di mitra, nello stesso luogo in cui i fascisti avevano già assassinato dei partigiani.

Cadde nello stesso posto anche il genero Salvatore Melis, che non volle lasciarlo solo al momento dell'arresto.

Banfo, operaio comunista molto amato alla Grandi Motori dove lavorava, volto noto della Resistenza torinese, aveva tenuto testa al colonnello Cabras, che si era recato nello stabilimento in sciopero, nel tentativo di calmare gli animi degli operai.

Banfo aveva preso la parola per i suoi compagni e aveva detto in faccia al capo dei torturatori di via Asti le ragioni dello sciopero.

Appena si seppe dell'uccisione di Banfo, la rabbia e l'indignazione popolari montarono, prendendo in contropiede le autorità civili e militari della RSI e del partito fascista, le quali si affannarono a dire che si era trattato di un regolamento di conti tra comunisti (una bufala a cui solo La Stampa dà spazio sulle proprie colonne). Addirittura osarono recarsi a casa dei Banfo per esprimere solidarietà ai figli e alla moglie.

Ma i suoi compagni e le sue compagne sapevano com'era andata e Chieri veniva liberata proprio in quel momento. Ancora qualche giorno e sarebbe arrivato l'ordine: Aldo dice 26X1.

Allora, prima di continuare un saluto a Banfo e agli e alle scioperanti del 18 aprile.

Che nessun politicante e nessun padrone cerchi di rubarci la nostra storia, dicendo che ci hanno liberato solo gli alleati. Che non ci dicano che furono solo le armi a liberarci. Che non ci dicano che tutta la popolazione era con i fascisti o in attesa di essere liberata dagli Alleati.

Che non ci rubino la memoria dei momenti in cui la forza di chi lavora si è espressa: finendo guerre, imponendo la pace e reclamando il proprio diritto a una vita di pace e dignità.

Che non ci rubino la memoria della Barriera di Milano "Stalingrado di Torino" con qualche comizio sul degrado, sfruttando frustrazione e rabbia popolare.

Ai lavoratori e alle lavoratrici dei turni massacranti, della precarietà, delle fabbriche occupate come a Campi Bisenzio: nel ricordo delle giornate insurrezionali, ora e sempre resistenza!